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WP4 - Gruppo di lavoro italiano "Interoperabilità e servizi"
Linee guida tecniche per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali
Edizione italiana 2.0

IL MASTER DIGITALE

I problemi posti dalla conservazione delle risorse digitali devono essere considerati come parte integrante del processo di produzione digitale. La possibilità di conservare a lungo termine delle risorse digitali è agevolata dall’adozione di standard, ma dipende anche dalla documentazione dell’insieme dei procedimenti tecnici che hanno condotto alla creazione di un oggetto; molte informazioni essenziali possono, in molti casi, essere registrate solo al momento della creazione della risorsa.
I responsabili del progetto devono comprendere l’importanza di creare un master digitale di alta qualità completamente documentato, dal quale potranno derivare tutte le altre versioni, quali, per esempio, le versioni compresse per l’accesso via Web. Il master digitale documentato sarà di grande aiuto per la migrazione periodica dei dati e per lo sviluppo di nuovi prodotti e risorse.
è importante che ci si renda conto che la conservazione a lungo termine delle risorse non dipende solo dalla scelta di opportuni formati o supporti. Dovrebbe essere considerata piuttosto una responsabilità gestionale essenziale per chi possieda e gestisca contenuti informativi digitali, poiché garantisce il loro uso e riuso a lungo termine. La conservazione a lungo termine dipende da un gran numero di fattori, che sono anche al di fuori del processo di digitalizzazione, come la stabilità istituzionale, la continuità dei finanziamenti e il possesso dei diritti di proprietà intellettuale.
è possibile tuttavia adottare strategie di tipo tecnico nel corso del processo di digitalizzazione allo scopo di agevolare la conservazione. Per esempio, molti progetti di digitalizzazione hanno iniziato a elaborare strategie basate sulla creazione di un master digitale ricco di metadati.


esempi, raccomandazioni e linee guida

Joint NPO and RLG Preservation Conference
Guidelines for Digital Imaging,  28-30 September 1998
<http://www.rlg.org/preserv/joint/>

Preservation Management of Digital Materials Handbook
<http://www.dpconline.org/graphics/handbook/>

The Digitisation Process
<http://www.ukoln.ac.uk/nof/support/help/papers/digitisation.htm>

International Research on Permanent Authentic Records in Electronic Systems, InterPARES
<http://www.interpares.org/>

Preserving Access to Digital Information, PADI
<http://www.nla.gov.au/padi/index.html>

Digital Preservation Europe
<http://www.digitalpreservationeurope.org/>

6.1 3 Formati dei file

Quando si producono delle risorse digitali si dovrebbero impiegare formati standard aperti, per massimizzarne l’accesso. L’impiego di formati aperti favorisce l’interoperabilità, garantendo la riusabilità delle risorse, che possono essere create e modificate da un gran numero di applicazioni. Si eviterà in tal modo anche la dipendenza da un unico fornitore.
Tuttavia, in alcuni casi possono non esservi specifici standard aperti, oppure questi possono essere così recenti che gli strumenti in grado di gestirli non sono ancora disponibili. In tali casi, pertanto, può essere accettabile l’impiego di formati proprietari.
Qualora non impieghino standard aperti, i progetti devono giustificare il ricorso a formati proprietari nelle loro richieste di finanziamento, rivolgendo particolare attenzione ai problemi posti dall’accessibilità. Ogni qual volta si utilizzino formati proprietari, i progetti devonoprevedere una strategia di migrazione che consenta una successiva transizione verso standard aperti.
Considerazioni sui formati dei file saranno riportate nel seguito per le varie categorie di oggetti da digitalizzare.

6.1.1  Digitalizzazione e memorizzazione del testo

6.1.1.1  Codifica dei caratteri

La codifica dei caratteri è un algoritmo che consente di rappresentare i caratteri in forma digitale, definendo una corrispondenza tra le sequenze di codice dei caratteri (i numeri interi corrispondendo a dei caratteri in un repertorio) e sequenze di valori di 8 bit (byte o ottetti). Per poter interpretare i byte che compongono un oggetto digitale, un’applicazione richiede l’indicazione della codifica di carattere utilizzata nel documento.
La codifica dei caratteri usata nei documenti di testo dovrebbe essere segnalata esplicitamente. Per i documenti XML, la codifica dei caratteri dovrebbe essere registrata nella dichiarazione di codifica della dichiarazione XML.
Per i documenti XHTML, la dichiarazione XML può essere omessa, ma la codifica deve essere registrata nel valore dell’attributo http-equiv di un elemento meta.
Per la codifica del carattere nella pubblicazione dei documenti si veda il paragrafo 8.1.1.1.


standard

The Unicode Consortium. The Unicode Standard, Version 4.0.0,
defined by: The Unicode Standard, Version 4.0,
Boston, MA: Addison-Wesley, 2003
<http://www.unicode.org> - <http://www.unicode.org/standard/standard.html>

Extensible Markup Language (XML) 1.0
<http://www.w3.org/TR/REC-xml/>

XHTML 1.0 The Extensible HyperText Markup Language
<http://www.w3.org/TR/xhtml1/>

esempi, raccomandazioni e linee guida

Jukka Korpela, A Tutorial on Character Code Issues
<http://www.cs.tut.fi/~jkorpela/chars.html>

6.1.1.2 Formati dei documenti

Il contenuto testuale dovrebbeessere creato e gestito in un formato strutturato, adatto alla generazione di documenti HTML o XHTML per la pubblicazione.
Nella maggior parte dei casi, l’opzione più opportuna sarà memorizzare il contenuto testuale in un formato a base SGML o XML che si uniformi a una DTD (Document Type Definition) o a uno schema XML. I responsabili del progetto possono scegliere se memorizzare questo tipo di contenuto in semplici file oppure all’interno di una base di dati. Tutti i documenti dovrebbero essere convalidati nei riguardi della DTD o dello schema XML appropriato.
I progetti dovrebbero dimostrare di conoscere e comprendere le finalità dei formati standardizzati per la codifica dei testi, come la Text Encoding Initiative (TEI), e dovrebbero memorizzare il contenuto testuale in tali formati, quando opportuno. I responsabili del progetto possono memorizzare il contenuto testuale in HTML 4 o XHTML 1.0 (o versioni successive). Essi possono memorizzare il contenuto testuale in formati SGML o XML che corrispondono ad altri DTD o schemi, ma in tal caso devono definire delle corrispondenze con uno schema riconosciuto.
In alcuni casi, chi gestisce i progetti può scegliere di memorizzare contenuti a base esclusivamente testuale utilizzando il Portable Document Format (PDF) di Adobe. Il PDF è un formato di file proprietario (i cui diritti sono detenuti da Adobe), che conserva i caratteri, le formattazioni, i colori e la grafica del documento sorgente. I file PDF sono compatti e possono essere visualizzati e stampati grazie al programma gratuito Acrobat Reader. Comunque, come accade per qualunque soluzione proprietaria, la sua adozione comporta dei rischi e i responsabili del progetto devono essere consapevoli dei costi potenziali di questo approccio e devono predisporre una strategia di migrazione che consenta una transizione successiva verso standard aperti (si veda anche il paragrafo 8.1.1 per altre considerazioni in merito ai documenti PDF).


standard

ISO 8879:1986. Information Processing – Text and Office Systems – Standard Generalized Markup Language (SGML)

Extensible Markup Language (XML) 1.0
<http://www.w3.org/TR/REC-xml/>

Text Encoding Initiative (TEI)
<http://www.tei-c.org/>

HTML 4.01 HyperText Markup Language
<http://www.w3.org/TR/html401/>

XHTML 1.0 The Extensible HyperText Markup Language
<http://www.w3.org/TR/xhtml1/>

Portable Document Format (PDF)
<http://www.adobe.com/products/acrobat/adobepdf.html>

esempi, raccomandazioni e linee guida

AHDS Guide to Good Practice: Creating and Documenting Electronic Texts
<http://ota.ahds.ac.uk/documents/creating/>

6.1.2  Digitalizzazione e memorizzazione di immagini fisse

Le immagini fisse digitali si dividono in due categorie: le immagini a matrice di punti (raster o bit-mapped) e le immagini vettoriali (object-oriented).
Le immagini raster hanno la forma di una griglia o matrice 2D, in cui ogni elemento dell’immagine (pixel) ha una collocazione unica all’interno della matrice e un valore (o un insieme di valori) di colore indipendente, che può essere modificato separatamente.
Il processo di digitalizzazione genera solitamente un’immagine a matrice di punti.
Rientrano nella categoria delle immagini a matrice di punti anche le immagini create al computer (born digital), cosiddette grafiche non vettoriali,come loghi, icone, disegni al tratto ecc.
I file vettoriali forniscono un insieme di istruzioni matematiche utilizzate da un programma di disegno per costruire, gestire e visualizzare un’immagine.

6.1.2.1  Immagini a matrice di punti (raster)

Quando si creano e si memorizzano immagini a matrice di punti occorre prendere in considerazione i seguenti aspetti importanti ai fini della qualità delle immagini:

  • le modalità e i parametri di acquisizione nel caso di immagini digitalizzate o di rappresentazione nel caso di oggetti “nati digitali”
  • il formato di memorizzazione del file e l’eventuale elaborazione o codifica.

6.1.2.1.1 Parametri di acquisizione

La selezione dei parametri di acquisizione richiesti per digitalizzare utilmente una risorsa è determinata dalle dimensioni dell’originale, dalla quantità di dettagli in esso presenti, dai livelli di contrasto (dinamica) che si desidera rappresentare e dall’uso (conservazione, pubblicazione, editing ecc.) che si vuol fare dell’immagine digitale; infine, dalle caratteristiche tecniche del sistema di acquisizione.
Tra i molti fattori che determinano la qualità delle immagini prodotte da un determinato sistema di acquisizione, i due più importanti sono definiti dai seguenti parametri:

  • La densità di campionamento spaziale, impropriamente riferita anche come risoluzione spaziale: è la frequenza spaziale alla quale i campioni del documento originale sono acquisiti dal dispositivo che digitalizza l’immagine. Essa è legata alla capacità di rappresentare i dettagli dell’immagine e viene espressa come numero di campioni per pollice (spi: samples per inch), o più comunemente di pixel per inch (ppi)1
  • La profondità di colore (o profondità di bit = bit depth) è il numero di bit a disposizione per rappresentare tutti i livelli di luminosità, utilizzabili per rappresentare i diversi colori (o toni di grigio) dell’originale. Tale numero si esprime in bit per pixel (bpp). Per esempio, una profondità di colore di 8 bit per pixel significa che sono disponibili 256 (= 2 elevato alla potenza 8) diversi livelli di intensità di colore (o di grigio), mentre una profondità di colore di 24 bpp in un sensore RGB può voler dire che sono disponibili 256 livelli per ciascuna delle tre componenti di colore (teoricamente, in totale, circa 16,8 milioni di colorazioni diverse). Nel caso del colore dovrebbe essere sempre chiarito se il numero di bit per pixel si riferisce a una o alle tre componenti R, G, e B (rosso, verde e blu, nel modello di colori additivo). Il numero di bpp è legato alla dinamica del segnale acquisito e quindi al contrasto minimo rappresentabile2.

Le immagini dovrebbero essere acquisite alla maggior densità spaziale e profondità di colore opportune ai fini del progetto, purché ne risulti un costo abbordabile e siano funzionali agli usi previsti. Ogni progetto deve identificare il livello minimo di qualità e densità informativa di cui ha bisogno.
È noto, tuttavia, che, a parità di densità di campionamento e di profondità di colore, sistemi diversi possono fornire immagini di qualità sensibilmente diverse. Per questo motivo è consigliabile effettuare sulla strumentazione impiegata test oggettivi di qualità per definire e verificare i valori dei parametri di acquisizione in funzione degli scopi del progetto. Un’acquisizione di buona qualità non solo garantisce un’immagine più fedele e definita, ma consente di diminuire lo spazio di memoria nel master e una maggiore efficienza di compressione per le immagini destinate alla pubblicazione.
Per le considerazioni fatte, gli esempi che seguono dovrebbero essere considerati solo a titolo orientativo.


esempi

Per la digitalizzazione di fotografie, dovrebbe essere prevista una risoluzione spaziale di 600 campioni per pollice (ppi, pixel per inch) e una risoluzione di colore di 24 bpp per le immagini a colori o di 8 bpp per quelle in scala di grigi.

Per rendere la maggiore densità d’informazione delle diapositive da 35 mm dovrebbe essere adottata una risoluzione di 2400 ppi (fonte: EMII DCF). Tali dati portano a considerare valida, per il formato 35 mm, la realizzazione di immagini digitali con una dimensione per il lato minore di ~2300 pixel e di ~3400 pixel per il lato maggiore. Tali indicazioni devono essere considerate minime, per la realizzazione di un “master digitale”.
Per le risorse documentarie di altro genere, come manoscritti, stampe, disegni, pergamene, mappe, cartografia e dipinti, dovrebbero essere utilizzate densità spaziali che vanno da 300 a 600 ppi, secondo il grado di dettaglio che si ritiene importante riprodurre e i vincoli di costo imposti per i documenti di grandi dimensioni. Il numero di bpp nel file master non deve essere inferiore a 8 per riproduzioni in scala di grigi, e a 24 per il colore, tenendo conto di quanto espresso alla nota 5. Alla definizione di tali valori deve concorrere la qualità dell’apparato di acquisizione, come notato in precedenza. Possono essere utilizzate densità spaziali inferiori, nel caso in cui sia possibile effettuare un test di qualità.
Qualità meno elevate saranno richieste per i file non destinati al ruolo di master: ad esempio immagini che documentano eventi o altre scene sui siti web. In tali casi potranno essere utilizzati per la ripresa apparati di minor costo (ad esempio, macchine digitali) e può essere opportuno memorizzare le immagini in formato compresso JPEG/SPIFF, in accordo con quanto descritto oltre (capitolo 8).
In caso di originali di grande formato il progetto dovrebbe evitare di adottare procedure di ripresa che prevedano scansioni "a mosaico". Nel caso in cui l'originale debba essere comunque acquisito in più parti, dovrà assicurarsi una loro congrua sovrapposizione, utilizzando per tutte le parti le medesime impostazioni di ripresa. Ad esempio, per il materiale documentario si dovrà evitare in ogni caso la frammentazione del rigo di scrittura.

6.1.2.1.2  Formato e compressione dei file

In stretta correlazione con i parametri di acquisizione è il formato di memorizzazione dei file immagine acquisiti, e in particolare il tipo di compressione che può essere operata sui dati digitali dell’immagine.
Esistono due principali tipologie di compressione: quella reversibile o senza perdita (lossless) e quella con perdita (lossy). La differenza fondamentale tra le due tipologie è che, se si decomprime un’immagine precedentemente compressa con metodi senza perdita, si ottiene nuovamente l’immagine originale, mentre la decompressione di una immagine compressa con metodi con perdita, non restituisce un’immagine identica all’originale e ciò corrisponde, in generale, ad una perdita di qualità.
La perdita di qualità può essere cumulativa, pertanto, se di una immagine si eseguono più memorizzazioni in successione con metodi lossy, la qualità degrada sempre più. Per tale ragione salvataggi intermedi con metodi lossy durante l’elaborazione di una immagine destinata al master digitale dovrebbero essere accuratamente evitati.
Le immagini raster destinate al master digitale dovrebbero, in linea di principio, essere memorizzate nella forma non compressa generata dal processo di digitalizzazione, senza subire trattamenti successivi; tuttavia l’utilizzo di metodi di compressione senza perdita consente di salvare i dati utilizzando una minore quantità di spazio sui supporti di memorizzazione (dischi, CD, DVD, nastri ecc.) senza pregiudicarne la qualità.
Le immagini a matrice di punti, sia originate da operazioni di digitalizzazione, sia appartenenti alle immagini grafiche non vettoriali (come quelle create al computer, loghi, icone, disegni al tratto) dovrebbero perciò essere memorizzate utilizzando formati quali: Tagged Image File Format (TIFF), Portable Network Graphics (PNG), oppure, con attenzione alle considerazioni che seguono, anche Graphical Interchange Format (GIF), JPEG 2000 o JPEG Still Picture Interchange File Format (JPEG/SPIFF).
Si tenga presente che il formato GIF limita la codifica del colore, non consentendo di utilizzare più di 256 colorazioni diverse: è perciò generalmente utilizzato per la codifica d’immagini grafiche non vettoriali.
È importante tenere presente che il metodo di compressione JPEG comunemente utilizzato è del tipo lossy (con perdita di qualità); pertanto, nella realizzazione di un master digitale, questo metodo dovrebbe essere utilizzato solo in casi particolari, quando per esempio la buona qualità delle immagini fornite dal sensore utilizzato (accertata con metodi oggettivi) consenta un margine di degrado accettabile da parte del metodo di compressione. In tutti gli altri casi deve essere privilegiato un metodo di memorizzazione reversibile (nessuna compressione o compressione senza perdita).
La compressione JPEG è parametrizzabile: questo significa che è possibile scegliere tra diversi parametri di qualità del file ricostruibile da quello compresso. A una maggiore compressione, ovvero a un più alto valore del rapporto di compressione (il rapporto tra l’occupazione di memoria del file non compresso e quella del file compresso) corrisponde un più basso livello di qualità. Una scelta non corretta di tali parametri può produrre livelli di degrado irreversibile non adatti per un master; per tale ragione, nell’uso di tale formato, deve essere privilegiata sempre la qualità rispetto al rapporto di compressione.
Il responsabile di progetti di digitalizzazione deve altresì tenere conto che il formato TIFF permette di memorizzare i dati grafici con diversi metodi: senza compressione, con compressione senza perdita e infine con compressione di tipo JPEG (e pertanto con perdita di qualità). Quest’ultima possibilità può creare incertezze sulla qualità effettiva dell’immagine presente all’interno del formato TIFF, pertanto nell’uso di tale formato deve essere sempre dichiarato esplicitamente il metodo di compressione (o di assenza di compressione). I controlli sul reale metodo di compressione utilizzato in file memorizzati nel formato TIFF potrebbe essere complesso e dovrebbe coinvolgere adeguate risorse.


standard

Tagged Image File Format (TIFF)
<http://partners.adobe.com/public/developer/tiff/index.html>

Joint Photographic Expert Group (JPEG)
<http://www.w3.org/> - <http://www.w3.org/Graphics/JPEG/>

JPEG Still Picture Interchange File Format (SPIFF)
<http://www.jpeg.org/public/spiff.pdf>

Portable Network Graphics (PNG)
<http://www.w3.org/TR/PNG>

esempi, raccomandazioni e linee guida

TASI: Advice. Creating Digital Images
<http://www.tasi.ac.uk/advice/creating/creating.html>

ICCD. Normativa per l’acquisizione digitale delle immagini fotografiche (1998)
<http://www.iccd.beniculturali.it/standard/index.html>

Gruppo di lavoro sulla digitalizzazione del materiale fotografico.
Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale fotografico
<http://www.iccu.sbn.it/upload/documenti/Linee_guida_fotografie.pdf>

Gruppo di lavoro sulla digitalizzazione di bandi, manifesti e fogli volanti.
Linee guida per la digitalizzazione di bandi, manifesti e fogli volanti
<http://www.iccu.sbn.it/upload/documenti/linee_guida_bandi_sett.2006.pdf>

Gruppo di lavoro sulla digitalizzazione del materiale cartografico.
Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale cartografico
<http://www.iccu.sbn.it/upload/documenti/linee_guida_digit_ cartografia_05_2006.pdf>

6.1.2.2  Immagini vettoriali

Le immagini vettoriali sono costituite da molteplici oggetti geometrici (linee, ellissi, poligoni e altre forme) costruiti attraverso una sequenza di comandi o matematiche per tracciare linee e forme. Le immagini grafiche vettoriali dovrebbero essere create e memorizzate in un formato aperto come Scalable Vector Graphics (SVG), un linguaggio XML per la descrizione di grafici di questo tipo. I disegni SVG possono essere interattivi e dinamici e sono scalabili secondo lo schermo di visualizzazione e le diverse risoluzioni della stampante.
In alcuni casi può risultare opportuno l’uso del formato proprietario Macromedia Flash; in tal caso nel progetto dovrebbe essere prevista la strategia di migrazione verso formati aperti, una volta che questi si siano diffusi. L’uso di testi in formato Flash dovrebbe essere evitato per consentire lo sviluppo di versioni multilingue.


standard

Scalable Vector Graphics (SVG)
<http://www.w3.org/TR/SVG/>

Macromedia Flash
<http://www.adobe.com/>

6.1.3  Digitalizzazione e memorizzazione di documenti video

I documenti video dovrebbero per consuetudine essere memorizzati nel formato non compresso derivante dal dispositivo di registrazione, senza ulteriori trattamenti. Il documento video dovrebbe essere realizzato con i valori più alti di densità spaziale, di profondità di bit e di frequenza di quadro, che siano finanziariamente accessibili e funzionali rispetto agli usi previsti. Ogni progetto deve identificare il livello minimo di qualità richiesto.
Il documento video dovrebbe essere memorizzato nel formato non compresso RAW AVI (Audio Video Interleave), senza l’uso di alcun codec con dimensioni di quadro pari a 720 x 576 pixels, e una frequenza di 25 quadri al secondo, a 24 bpp. Dovrebbe essere impiegata la codifica colori PAL.
Un documento video può essere creato e memorizzato utilizzando il formato MPEG adeguato (MPEG-1, MPEG-2 o MPEG-4) o i formati proprietari Microsoft WMF, ASF o Quicktime.


standard

Moving Pictures Experts Group (MPEG)
<http://www.chiariglione.org/mpeg/>

esempi, raccomandazioni e linee guida

ICCD. Normativa per la documentazione multimediale. Normativa per la realizzazione e il trasferimento degli allegati multimediali della scheda di catalogo. 2005
<http://www.iccd.beniculturali.it/download/norme_300/multimediali_300.pdf>

6.1.4  Digitalizzazione e memorizzazione di documenti audio

I documenti audio dovrebbero per consuetudine essere memorizzati nel formato non compresso derivato direttamente dai dispositivi di registrazione, senza ulteriori trattamenti, come ad esempio la riduzione del rumore.
I documenti audio dovrebbero essere prodotti e memorizzati in un formato non compresso come Microsoft WAV o Apple AIFF. Si dovrebbe utilizzare per le copie master un suono stereofonico a 24 bit con un tasso di campionatura di 48/96 KHz. Questo tasso di campionatura è suggerito dalla Audio Engineering Society (AES) e dalla International Association of Sound and Audiovisual Archives (IASA).
I documenti audio possono essere prodotti e memorizzati in formati compressi come MP3, WMA, RealAudio o Sun AU.


esempi, raccomandazioni e linee guida

ICCD. Normativa per la documentazione multimediale. Normativa per la realizzazione e il trasferimento degli allegati multimediali della scheda di catalogo. 2005
< http://www.iccd.beniculturali.it/download/norme_300/multimediali_300.pdf >

International Association of Sound and Audiovisual Archives, IASA
<http://www.iasa-web.org/>

International Association of  Sound and Audiovisual Archives.
Technical Committee. IASA-TC04 guidelines on the production and preservation of digital audio objects : standards, recommended practices, and strategies. Aarhus, Denmark: International Association of Sound and Audiovisual Archives, Technical Committee, 2004

6.2  La scelta dei supporti di memorizzazione

I diversi supporti di memorizzazione digitale richiedono per l’accesso differenti requisiti hardware e software e supporti diversi pongono sfide diverse in ordine al processo di memorizzazione e alla gestione e conservazione. Vi sono due tipi di minacce alla continuità di accesso ai supporti digitali:

  • il deterioramento fisico o il danneggiamento del supporto stesso
  • cambiamenti tecnologici, che portano all’obsolescenza dell’infrastruttura hardware e software necessaria per accedere al supporto.

Le risorse generate nel corso del progetto di digitalizzazione generalmente vengono memorizzate sui dischi rigidi di uno o più file server e su supporti di memorizzazione portatili. Al momento della stesura di questo documento, i tipi di supporti di memorizzazione portatili di uso più comune sono i nastri magnetici e i supporti ottici (CD-R e DVD).
Il supporto portatile prescelto deve essere di buona qualità, acquistato da fabbricanti e fornitori di buona reputazione; si dovrebbero sempre testare le novità per verificare la presenza di eventuali difetti. I supporti devono essere manipolati, utilizzati e memorizzati seguendo le istruzioni dettate dai fornitori.
I responsabili dei progetti dovrebbero riflettere sulla possibilità di realizzare copie di tutte le risorse digitali – registrazioni dei metadati e oggetti digitali – su due tipi diversi di supporti per la memorizzazione (backup differenziati).
Una copia deve essere conservata in un luogo distinto da quello principale per garantirne la salvaguardia nel caso in cui una calamità coinvolga il luogo di conservazione principale. Tutti i trasferimenti verso supporti portatili dovrebbero essere registrati. 
I supporti devono essere “rinfrescati” (ovvero, i dati devono essere copiati su un nuovo supporto) regolarmente per tutta la durata della vita della risorsa. L’attività di “rinfresco” (refreshment) dovrebbe essere registrata.


esempi, raccomandazioni e linee guida

Preservation Management of Digital Materials
<http://www.dpconline.org/graphics/handbook/>

TASI. Advice: Using CD-R and DVD-R for Digital Preservation
<http://www.tasi.ac.uk/advice/delivering/cdr-dvdr.html>

6.3  Strategie per la conservazione a lungo termine

Esistono tre approcci tecnici principali alla conservazione digitale: la conservazione della tecnologia, l’emulazione della tecnologia e la migrazione dei dati. I primi due approcci si concentrano sulla tecnologia utilizzata per accedere all’oggetto, o conservando l’hardware e il software originali, o utilizzando la tecnologia attuale per simulare l’ambiente originale. Può anche essere interessante il lavoro sugli archivi persistenti, basato sull’articolazione delle caratteristiche essenziali degli oggetti da conservare.
Le strategie di migrazione si concentrano sul mantenimento degli oggetti digitali in un formato accessibile tramite tecnologia corrente. In questo scenario, gli oggetti vengono trasferiti con regolarità da un ambiente tecnico a un altro, più recente, conservando il contenuto, il contesto, l’usabilità e la funzionalità dell’originale nella misura del possibile. Tali migrazioni possono richiedere la copia dell’oggetto da un supporto o dispositivo verso un nuovo supporto o dispositivo e/o la trasformazione dell’oggetto da un formato a un altro nuovo. Alcune migrazioni possono avere bisogno solo di una trasformazione del formato relativamente semplice; una migrazione verso un ambiente molto diverso può comportare un procedimento complesso con uno sforzo progettuale considerevole.
I responsabili del progetto dovrebbero comprendere le esigenze di una strategia per la conservazione basata sulla migrazione e dovrebbero sviluppare delle politiche e linee guida per supportarne l’attuazione.
La cattura dei metadati rappresenta un aspetto fondamentale della strategia di conservazione basata sulla migrazione (cfr. 7.2.3). I metadati sono necessari per supportare la gestione dell’oggetto e del procedimento di migrazione, ma, in più, la migrazione conduce inevitabilmente, almeno a lungo termine, ad alcuni cambiamenti o a perdite delle funzionalità originarie. Quando queste sono significative per l’interpretazione dell’oggetto, gli utenti ricorreranno ai metadati relativi al processo di migrazione e a quelli relativi all’oggetto originario e alle sue trasformazioni per cercare di comprendere la funzionalità presente nell’ambiente tecnologico originario.


esempi, raccomandazioni e linee guida

Digital Preservation Coalition. Preservation Management of Digital Materials Handbook
<http://www.dpconline.org/graphics/handbook/>

The State of Digital Preservation: An International Perspective
<http://www.tasi.ac.uk/advice/creating/creating.html>

International Research on Permanent Authentic Records in Electronic Systems, InterPARES
<http://www.interpares.org/>

Preserving Access to Digital Information, PADI
<http://www.nla.gov.au/padi/index.html>

Digital Preservation Europe
<http://www.digitalpreservationeurope.org/>


1] Nel caso di immagini acquisite in colore, il numero di ppi dichiarato dalle note tecniche dei produttori di apparati di acquisizione può essere sensibilmente superiore all’effettiva densità di campionamento spaziale, come nel caso in cui vengano effettuate interpolazioni all’interno del sistema (tipicamente: macchine fotografiche digitali). Pertanto, in assenza di test specifici, si dovrebbe sempre escludere che il numero di ppi dichiarato sia ottenuto con l’uso di interpolazione.

2] A causa di inevitabili fattori che influenzano negativamente la qualità delle immagini negli apparati di acquisizione, come ad esempio il rumore elettronico dei sensori, in assenza di test specifici si dovrebbero usare apparati che utilizzino internamente al sistema un numero di bpp maggiore di quello strettamente necessario a garantire la dinamica richiesta. Ad esempio, per immagini a livelli di grigio, 10, 12 o più bpp, per generare un file finale ad 8 bpp (256 livelli), oppure 30, 36 o più bpp in colore da cui generare files a 24 bpp.


 

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